IL PRETORE
    Nel  procedimento  n.  562/93  a  carico di Masengo Renzo e Solaro
 Luigi imputati entrambi del reato p. e p. dell'art. 21, primo  comma,
 della   legge   n.   319/76   ritenuto   che  il  p.m.  ha  sollevato
 preliminarmente questione di costituzionalita', con riferimento  agli
 artt.  3,  25  e  117  della Costituzione, dell'art. 9, quinto comma,
 della legge regionale del Piemonte 26 marzo 1990, n. 13, nella  parte
 in  cui statuisce che l'obbligo di cui al primo comma non e' operante
 qualora sussista coincidenza tra titolare dello scarico  e  autorita'
 competente al controllo;
    Ritenuto che il p.m. cosi' motiva la detta questione: come e' noto
 la  legge 10 maggio 1976, n. 319, si poneva l'obiettivo di promuovere
 il risanamento  generale  delle  acque,  da  perseguire  mediante  la
 redazione  di un piano generale sulla base dei piani regionali (artt.
 1, lett. d), e 4, lett. a)),  previo,  tra  l'altro,  il  rilevamento
 sistematico  delle  caratteristiche  qualitative  e  quantitative dei
 corpi idrici (art. 4, lett. e)).
    Coerentemente con questi obiettivi il legislatore, con la legge n.
 319/1976,  si  proponeva  di  disciplinare  tutti  gli  scarichi,  di
 qualsiasi  tipo  e  qualunque fosse il corpo ricettore (art. 1, lett.
 a)), subordinando ad  autorizzazione  tutti  gli  scarichi  (art.  9,
 ultimo  comma).  La ratio appare evidente: attraverso la richiesta di
 autorizzazione   si    voleva    acquisire    elementi    conoscitivi
 indispensabili  per  la  redazione  dei piani di risanamento e per la
 predisposizione dei necessari interventi a tutela delle acque.
    Allo  scopo  di  assicurare  l'attuazione  degli  obiettivi  sopra
 delineati,  l'art.  21,  primo  comma,  munisce  di  sanzione  penale
 l'obbligo di richiedere l'autorizzazione prima di attivare scarichi.
    Nella giurisprudenza si e'  ormai  consolidata,  con  l'autorevole
 avallo    delle    sezioni   unite   della   Corte   di   cassazione,
 l'interpretazione secondo la  quale  la  contravvenzione  di  scarico
 senza  richiesta  di autorizzazione non e' reato proprio dei titolari
 di insediamenti produttivi, essendo il precetto rivolto  ai  titolari
 di  tutti  gli scarichi senza alcuna distinzione, ivi compresi quelli
 civili, purche' non recapitanti in pubblica  fognatura  (Cass.  Pen.,
 sez.  III, 7 giugno 1990, Lazzaro, 20 febbraio 1990, Armuzzi, in Foro
 it., 1991, II, 589; Cass. pen., sez. un., 31 maggio  1991,  Valiante,
 ivi, 1992, II, 494).
    Non  pare  possa  fondatamente  dubitarsi  che  tale disciplina si
 estenda anche ai nuovi scarichi  di  pubbliche  fognature,  per  tali
 intendendosi   anche  quelli  preesistenti  che  abbiano  subito  una
 modificazione qualitativa  o  quantitativa,  in  conformita'  con  la
 disciplina  in tal senso prevista anche per gli scarichi civili (art.
 10, secondo comma), certamente meno consistenti. Laddove, infatti, il
 legislatore  ha  inteso  limitare  l'obbligo   della   richiesta   di
 autorizzazione  ai titolari di insediamenti produttivi, come nel caso
 degli   scarichi   preesistenti,  lo  ha  esplicitamente  fatto  come
 nell'art. 21, secondo comma, prima parte.
    E' ben vero che l'art. 14 ha demandato alle regioni la  disciplina
 degli  scarichi  delle pubbliche fognature, ma tale rinvio attiene al
 contenuto  della  disciplina,  non  rappresentando  una   deroga   al
 principio generale secondo il quale tutti gli scarichi recapitanti in
 acque  superficiali,  sul  suolo  e  nel  sottosuolo  debbono  essere
 autorizzati.
    La regione Piemonte ha emanato la disciplina degli scarichi  delle
 pubbliche  fognature con legge regionale 26 marzo 1990, n. 13, in Bur
 14 aprile 1990, n. 14. Per quanto rileva ai fini del caso  in  esame,
 essa  prevede  all'art.  9,  primo  comma,  l'obbligo  di  richiedere
 l'autorizzazione  allo  scarico  delle  pubbliche  fognature,  ma  al
 successivo  quinto comma, dichiara non operante tale obbligo "qualora
 sussista  coincidenza  tra  titolare  dello   scarico   e   autorita'
 competente al controllo".
    Tale   diciplina  appare  in  contrasto  in  il  quadro  normativo
 delineato  dalla   legge   nazionale   e   di   dubbia   legittimita'
 cosituzionale,  integrando  una  violazione  degli  artt. 25, 117 e 3
 della Costituzione.
    La riserva di legge sancita dall'art. 25 della Costituzione  viene
 intesa  sia  dalla  dottrina  che dalla giurisprudenza costituzionale
 come  riserva  di  legge  statale,  giacche'  solo   al   Parlamento,
 rappresentativo  della  comunita' nazionale, e' riservata la potesta'
 di legiferare in  materia  penale.  Cio'  allo  scopo  di  assicurare
 omogeneita'  di  trattamento  su tutto il territorio nazionale in una
 materia che  coinvolge  il  diritto  alla  liberta'  personale  e  in
 ossequio   al   divieto  per  le  regioni  di  ostacolare  la  libera
 circolazione  delle  persone  (art.   120,   secondo   comma,   della
 Costituzione).  Alle regioni non e' consentito, pertanto, interferire
 nella materia penale, ne' creando  nuove  fattispecie  di  reato  ne'
 introducendo   scriminanti   o   comunque   riducendo   il  campo  di
 applicazione della legge penale (in tal  senso  Corte  costituzionale
 sentenze nn. 79/1977, 370/1989, 43/1990, 309/1990).
    Nel caso in esame la regione Piemonte ha, per l'appunto, ristretto
 l'area  di  applicazione  dell'art.  21,  primo comma, della legge 10
 maggio 1976, n. 319, creando una sorta di immunita'  per  i  sindaci,
 giacche'  la  coincidenza tra il titolare dello scarico e l'autorita'
 preposta al controllo si verifichera'  quasi  sempre,  posto  che  il
 servizio  pubblico  di  fognatura  e'  riservato  a comuni, comunita'
 montane o consorzi di comuni (art. 6, secondo comma, della  legge  n.
 319/1976)  cosi'  come  il  controllo  sugli  scarichi (art. 6, primo
 comma, lett. a)). L'area di impunita' cosi creata per i  sindaci,  lo
 si  osserva  incidentalmente,  e'  ben  piu'  ampia, poiche' la norma
 regionale esclude la configurabilita' in capo agli stessi anche delle
 contravvenzioni degli artt. 22 e 23 della legge n. 319/1976.
    La regione Piemonte, con la norma in esame, e',  altresi',  andata
 oltre  la  potesta'  conferita  di  emanare norme di attuazione della
 legge statale, legiferando in modo contrastante con i principi  posti
 dalla  legge  nazionale,  cosi' violando la norma dell'art. 117 della
 Costituzione in tema di riparto di competenze.
    Quanto, infine, alla violazione del principio  di  eguaglianza  di
 cui   all'art.  3  della  Costituzione,  la  norma  regionale  appare
 introdurre un'ingiustificata disparita' di trattamento  tra  titolari
 di  scarichi.  Tale  disparita'  appare  evidente  nei  confronti dei
 titolari   di  nuovi  insediamenti  civili  recapitanti  nelle  acque
 superficiali, sul suolo o  nel  sottosuolo,  i  quali  sono  soggetti
 all'obbligo,  penalmente  sanzionato dall'art. 21, primo comma, della
 legge  n.  319/1976,  pur  apportando  all'ambiente   un   contributo
 inquinante certamente inferiore.
    La  questione  sollevata  appare rilevante ai fini della decisione
 del caso in esame. Risulta, infatti, dagli accertamenti compiuti  dal
 servizio  di  igiene  pubblica dell'U.S.S.L. 69 che i tronchi fognari
 dei comuni di Castagnole Lanze e Costigliole, tutti attivati in epoca
 anteriore al 1976, hanno  registrato  un  incremento  quantitativo  e
 modifiche  qualitative  dello  scarico, a causa dell'incremento degli
 utenti allacciati, comprendenti anche attivita'  produttive  (rel.  8
 luglio  1992  e  26  ottobre  1992).  Agli  imputati, sindaci dei due
 comuni, e' contestato il reato di cui all'art. 21, primo comma, della
 legge n. 319/1976, nella loro qualita' di responsabili della pubblica
 fognatura, imputazione dalla quale dovrebbero andare  assolti,  sulla
 base  della disciplina regionale, con la formula perche' il fatto non
 sussiste.
    Non essendo consentito al giudice disapplicare una legge regionale
 (in tal senso: Corte costituzionale n. 285/1990), si  chiede  che  il
 pretore,  ritenutane la rilevanza nel presente giudizio, dichiari non
 manifestamente infondata la questione di legittimita'  costituzionale
 dell'art.  9,  quinto  comma, della legge regionale Piemonte 26 marzo
 1990, n. 13, nella parte in cui statuisce che  l'obbligo  di  cui  al
 primo  comma,  non  e'  operante  "qualora  sussista  coincidenza tra
 titolare  dello  scarico  e  autorita'  competente  al  controllo  in
 relazione agli artt. 25, 117 e 3 della Costituzione".
    Ritenuto  che le ragioni addotte dal p.m. appaiono convincenti, in
 quanto la norma impugnata della legge regionale contrasta sia con  la
 riserva  di legge sancita dall'art. 25 della Costituzione, prevedendo
 l'art.   9    della    "legge    Merli"    l'obbligo    generalizzato
 dell'autorizzazione,  sanzionato penalmente dall'art. 21 della stessa
 legge, sia col principo di uguaglianza (art. 3 della Costituzione) in
 quanto crea una sorta di impunita' per i  sindaci  dei  comuni  delle
 regioni  nelle quali vige il principio in discussione, sia infine con
 l'art. 117  della  Costituzione  in  materia  di  ripartizione  delle
 funzioni legislative.
    Ritenuto  che  la questione e' rilevante in questo giudizio, posto
 che in caso  d'illegittimita'  della  norma  regionale  gli  imputati
 dovrebbero  sottostare  all'applicazione  del  citato  art. 21 "legge
 Merli", mentre  in  caso  contrario  dovrebbero  essere  assolti  per
 insussistenza del fatto.